Ballate Medioevali e Romantiche 2008/09
Lunedì 26 Gennaio 2009 è tornato a far visita al Giulio Cesare il professor Giordano dall’Armellina. Non era la prima volta che veniva alla nostra scuola, e già in passato alcune classi avevano contribuito e collaborato per rendere la lezione-concerto più interessante e dettagliata. Quella mattinata erano previste cinque ballate: Lord Randal, la prima parte de The Rime of the Ancient Mariner del poeta inglese Coleridge, A Hard Rain’s gonna fall di Bob Dylan, La Belle Dame Sans merci di Keats, e The Ballads of Reading Gaol di Oscar Wilde. Ciascuna ballata veniva cantata e suonata dal professore, che prima o dopo l’esecuzione ne spiegava i contenuti in lingua inglese. Durante le ballate venivano proiettate delle immagini che illustravano ciò che avveniva nel testo, e fra queste figuravano anche numerosi disegni realizzati da ex studenti del Giulio Cesare.
Tutti i testi sono stati accuratamente analizzati dal punto di vista del contenuto, del linguaggio utilizzato (es: vocaboli in inglese arcaico) e delle similitudini con altre canzoni o testi ispiratori o ispirati da tali composizioni. I temi principalmente affrontati erano l’amore (praticamente in tutte), il fantastico -soprannaturale in Lord Randall ed in quelle di Coleridge e Keats; in altre la religione, e soprattutto la denuncia del quotidiano e di ciò che bisognerebbe cambiare in meglio (Wilde e Dylan). L’allegoria trovava largo spazio in ciascuna di esse. Quelle che però hanno attratto maggiormente la nostra attenzione, per i motivi più vari, sono state le prime tre. La prima ballata è stata Lord Randall, una composizione scozzese ma riadattata in innumerevoli lingue e stili differenti. Possiamo trovare la sua probabile origine in una ballata cantata nel Nord Italia, L’avvelenato. Il protagonista, Lord Randall, in un bosco incontra una creatura che lui scambia per il suo vero amore e che invece finisce per avvelenarlo ed ucciderlo, dandogli da mangiare delle anguille arrosto. Tra tutte le ballate di quella mattina è stata quella che ha suscitato l’ effetto più singolare sulla nostra classe: alcuni di noi due anni fa, in occasione del Concerto offerto alle classi Prime Liceo dal professore al Giulio Cesare, avevano partecipato in prima persona (uno con la chitarra e due con la voce, insieme ad altri alunni di altre classi) durante una sua esecuzione.
Nella ballata di Coleridge The Rime of the Ancient Mariner, un anziano marinaio narra ad un testimone di un matrimonio le proprie incredibili vicende ed il suo lungo percorso di espiazione redenzione, in seguito all’uccisione di un albatros, creatura e probabile simbolo di Cristo. La ballata si conclude nella settima parte con una serie di ammonimenti da parte del marinaio al testimone di nozze. Oltre alla spiegazioni, è stato molto interessante l’excursus di Dall’Armellina a proposito dell’importanza mistico-magica del numero tre. Il tre infatti è un “numero magico” da lungo tempo: dalle popolazioni indoeuropee, che adoravano il Sole, la Luna e la Madre Terra, sino ad oggi, anche in contesti differenti da quelli della cultura occidentale. Per esempio, nella cultura indù esiste una sorta di “Trinità” chiamata Trimurti, costituita dalle divinità Brahma, Shiva e Vishnu. E finita la lezione, alcuni tra di noi appassionati di musica si sono chiesti come mai non avesse citato la rielaborazione della ballata, benché assai diversa come stile, eseguita dagli Iron Maiden.
La canzone che ha intrigato di più per il testo criptico e le tematiche affrontate è stata quella di Bob Dylan, ma è anche quella che ha fatto anche più discutere. Ispirata alla ballata Lord Randall, racconta del viaggio di un figlio dagli occhi azzurri attraverso un mondo devasto e corrotto, dove accadono cose terribili (un neonato circondato dai lupi, una ragazza con il corpo che brucia ecc). Su di esso incombe un forte acquazzone, non si sa se purificatore o distruttore. Rimane poi il dubbio se ci sia ancora speranza per il mondo oppure no. Su tale canzone, e su tutti i significati ad essa connessi, si sarebbe potuto parlare a lungo. Il professor Dall’Armellina ha trattato con estrema chiarezza e perizia le numerose allegorie e i simboli presenti nel testo (es: il numero dodici, il richiamo al Diluvio Universale biblico ecc.) ma a parere di alcuni sarebbe stato molto interessante soffermarsi anche sul contesto storico della canzone, e sulle interpretazioni che vennero date alla canzone poco dopo la sua composizione. Erano infatti gli anni 60’, e gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica a causa delle installazioni missilistiche sull’isola di Cuba avevano quasi sfiorato la catastrofe nucleare. L’opera di Dylan venne infatti letta come una critica a tale situazione, mentre letta o ascoltata oggi può apparire una profezia a proposito della pioggia nucleare che sta per investire il mondo devastato. Ma Dylan compose la canzone circa un mese prima della crisi dei missili cubani. Inoltre, in un’intervista avvenuta nel 1963 negò che si trattasse di pioggia atomica. Giustamente quindi, nelle immagini proiettate non si è vista alcuna traccia che riportasse a tale evento o alle conseguenze di una guerra nucleare.
Quello che però continua a sorprendere è come, a distanza di secoli, ballate di stampo medioevale continuino a riscuotere così tanto successo e ad ispirarne di nuove, probabilmente destinate anch’esse a protrarne il genere e le tematiche nel tempo a venire.
Francesco Guiglia, classe III B